La cosa che mi ha più colpito di questo romanzo è la qualità della scrittura, elegante, ricercata eppure scorrevole e asciutta. La storia di per sé non è sorprendente e i personaggi sono un po' stereotipati: il cattivo, il buono, l'emarginato, la vittima. L'intero racconto però riesce a trasmettere il terrore e l'impotenza di un popolo soggiogato al regime talebano.
Il momento clou, che porta all'epilogo finale, l'ho trovato un po' frettoloso e la conclusione intuibile pagine prima di giungere alla fine ma, nel complesso, è un romanzo che consiglio vivamente, specie a chi è completamente digiuno di Afghanistan e della sua storia.
Io ne sapevo già parecchio. Ho visitato l’Afghanistan in camper, insieme ai miei genitori, nel 1978. Avevo tredici anni, ma mi ricordo quel viaggio come fosse oggi. “Le rondini di Kabul” rispecchia quel paese ora come allora, incluso il terrore e l’impotenza, specie delle donne.
Ricordo che nelle città, nei mercati e nei luoghi frequentati da qualsiasi uomo, io, mia madre e mia sorella (che di anni ne aveva appena otto) eravamo costrette a indossare abiti lunghi fino ai piedi. In quanto occidentali, ci era consentito non coprire il capo, sempre che non incrociassimo un talebano osservante.
È successo una sola volta: quel tizio guardò mia madre con rimprovero e le sputò addosso.
Mohammed Moulessehoul (10 gennaio 1955) è uno scrittore algerino. Membro dell'esercito, fu testimone diretto della sanguinosa guerra civile che devastò l'Algeria per oltre un decennio. Per motivi di censura, fu costretto a scrivere sotto lo pseudonimo femminile di Yasmina Khadra.
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