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Ho praticato ansia a livello agonistico

L'ansia è stata parte di me per una grossa parte della mia vita.

Da ragazzina, l’ansia era dovuta a un senso di inadeguatezza. Mi sentivo sempre meno di chi mi stava accanto. Le mie compagne di scuola delle elementari erano tutte così brave e carine, con le loro treccine bionde e dieci in tutte le materie; io ero quella con il fiocco storto, il moccio al naso e i capelli castani tagliati a spazzola. Al liceo ero l’unica senza motorino e senza fidanzato; all’università quella che se cannava un esame finiva a fare l’operaia nella piccola azienda manifatturiera di famiglia senza possibilità di appello.


Nel decennio dal 2001 al 2011 ho vissuto così tante avversità che l’ansia non mi ha abbandonato un istante.

Ho finito per darle un nome, un volto e farne la mia ombra.

Madama Ansia è una vecchia rugosa e zoppa che mi segue, battendo il suo bastone a terra a ogni mio passo, mi sottopone le sue teorie su tutto quello che potrebbe andare storto e ipotizza conseguenze apocalittiche a ogni evento.

Ho portato con me questa scomoda presenza anche nel primo viaggio che mi sono concessa in quel disgraziato periodo.

La maledetta non ha perso occasione

per farmi preoccupare più del dovuto.

Appena giunta a destinazione (in Nuova Zelanda), in attesa che il mio bagaglio comparisse sul nastro trasportatore dell’aeroporto, Madama Ansia mi diceva cose del tipo: «Pensa se la tua valigia non è arrivata, o magari te l’hanno rubata, aperta o danneggiata.» E io mi angosciavo all’idea di come avrei trascorso due mesi all'altro capo del mondo senza tutto ciò che mi serviva.

Qualche giorno dopo, in visita all’Auckland Domain, un’immensa tenuta nel centro di Auckland, faticai a trovare l’uscita dal parco.

E lei, subito: «Ti sei persa, eh?»

Mi fece vivere minuti di terrore.

A Baylys Beach, una spiaggia utilizzata dai locali come pista da corsa durante la bassa marea, camminai talmente a lungo (cercavo il relitto di una nave che volevo assolutamente fotografare) che rischiai di non farcela al ritorno.

Valutai di fare l’autostop, ma Madama Ansia

mi dissuase subito con predizioni catastrofiche:

«Potresti finire cappottata, come l’auto che hai visto qualche chilometro prima. O trovarti a bordo con un’orda di pazzi ubriachi che ti violentano.»


In un’altra occasione, ho rischiato di perdermi sul serio, non come al parco di Auckland.

Mi trovavo nei pressi della Ninety Mile Beach, nella zona delle dune giganti di Te-Paki, per l’esattezza. Mi ero messa in testa di raggiungere la spiaggia da lì, ma non sapevo che avrei dovuto attraversare a piedi chilometri di deserto simile al Sahara.

Nonostante davanti a me non vedessi che sabbia,

ero decisa a non mollare.

Quando persi di vista sia il punto in cui avevo parcheggiato l’auto sia la direzione verso il mare, Madama Ansia iniziò a fare il suo lavoro: «Ti sei accorta che non hai più riferimenti? Potresti girare in tondo per ore e non riuscire più a tornare indietro. Nessuno sa che sei qui. Sei completamente sola e il telefono che hai portato non serve a niente. Chi chiami? Qualcuno in Italia? E pensi che ti troverebbero? E se cadessi e ti slogassi una caviglia?

Se dalla sabbia saltasse fuori uno scorpione e ti pungesse? Se arrivi al parcheggio e l’auto non c’è più?»

Ci sono state poi le volte in cui Madama Ansia mi ha fatto temere di essere stata derubata di soldi e documenti, di restare senza benzina in un luogo sperduto, di venire arrestata per violazione dell’alcool-banner, di venire sorpresa dall’alta marea e affogare mentre tentavo la traversata di una baia in secca e così via.

Ovviamente, se sono qui a raccontarle,

nessuna delle previsioni della stronza si è avverata.

Ma c’è di più.

Durante quel lungo viaggio, ho preso coscienza che tante inutili preoccupazioni mi stavano rovinando il piacere dell’esperienza. Così, quando mi sono imbarcata sul traghetto per spostarmi dall’Isola del Nord a quella del Sud, ho deciso di lasciare Madama Ansia a terra.

Non è stato facile togliermela dai piedi, ogni tanto è ricomparsa. Ma, da allora, le sue apparizioni si sono fatte sempre meno frequenti.

Oggi, a distanza di anni, posso dire di aver definitivamente cancellato Madama Ansia dalla mia vita.

E tu, che rapporto hai con l'ansia? Ne soffri o ne hai mai sofferto?

Raccontamelo nei commenti.

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Ciao, sono Eleonora Scali e sei sul mio blog

sai che su quel viaggio in Nuova Zelanda ho scritto un romanzo?

Si intitola "Prove tecniche di solitudine" ed è edito da Tabula Fati.

Puoi acquistarlo (solo in edizione cartacea) su tutti gli store online o ordinarlo in qualsiasi libreria.

ISBN 978-88-7475-943-9










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